Riportiamo una lunga lettera inviata ai fedeli della Diocesi di Sessa Aurunca dal Vescovo Francesco Orazio Piazza.
Carissimi Fratelli e Sorelle,
ci accingiamo a vivere l’inizio dell’Avvento, in questo anno di lenta ripresa, con il dono del cammino sinodale in tutta la Chiesa e nella specificità della nostra Comunità locale. Questa straordinaria coincidenza assume il valore di simbolo: è attesa-protesa! È sguardo centrato su Cristo che viene, nostra unica e vera speranza; concentrazione di ogni energia per mettere ben a fuoco Colui che viene verso di noi, che aspettiamo con desiderio, perché possa essere con noi nel sentiero della vita e cammina condividendo attese e difficoltà, gioie e amarezze: Lui ci porterà a destinazione, malgrado tutto. Ripresa del Cammino, con questa opportunità di grazia offerta a tutti noi, in modo sinodale, insieme per raggiungere la meta.
L’impegno sinodale è il nostro andare incontro a Colui che viene: come ascolto, riflessione sapiente e profezia. Già il fissare su di Lui lo sguardo è uscire da una condizione di prostrazione: le difficoltà pandemiche ci hanno fatto abbassare lo sguardo, chiudendolo sulla fatica quotidiana nel cercare di uscire dalla crisi pandemica personale, ecclesiale, economica e sociale.
Fissare lo sguardo su Cristo è ritrovare la misura della relazione tra noi. Se in questa dolorosissima crisi abbiamo sperimentato veramente, non senza difficoltà per altro ancora in atto, che «nessuno si salva da solo» (FT 32), che «non ci sono più gli altri, ma soltanto un noi» (FT 35), che «tutto è connesso» (FT 34) e che siamo sulla «stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti» (FT 32), è tempo ora di ritessere la trama sfilacciata delle relazioni, ad ogni livello e condizione. Il vero impegno, da concretizzare insieme, in modo sinodale, è innanzitutto quello di riconoscere di «essere debitori gli uni degli altri» (FT 36) e di «recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà» (FT 36), alla quale destinare tempo, energie personali e sociali.
Questo è il tempo opportuno per rispondere, insieme, alle emergenze umane e sociali balzate agli occhi in questa pandemia. Non solo abbiamo sperimentato che tutto è connesso nella tutela della salute, ma che, ancor più, tutti siamo coinvolti, spesso travolti, dagli effetti dannosi e destabilizzanti del degrado personale e sociale in atto in molti ambiti della vita. Ora è il tempo di mettersi in «ascolto dell’altro», di condividere le situazioni di vita e di «cercare insieme la verità nel dialogo» (FT 50). Ritrovare il senso ecclesiale della fede, speranza e carità, sarà la risposta cercata insieme e condivisa nel processo di ascolto, riflessione sapienziale e scelte profetiche che questo cammino sinodale proporrà: mentre procediamo, sperimentiamo e, lentamente, ricomponiamo la bellezza delle relazioni qualitative e umanizzanti.
La comunione ecclesiale diverrà anche lievito di coesione sociale. Anche il recente appello alla Città, rivolto a tutti in modo accorato e realistico, è segnale dell’urgenza di una necessaria svolta ecclesiale e sociale. Non dobbiamo rifugiarci nelle solite espressioni tipiche dei rinunciatari o di chi facilmente attribuisce agli altri ogni responsabilità sui mali che affliggono: viviamo tempi bui, problematici e difficili. Agostino risponde: «Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene ed i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi». E ancora: «Qualsiasi evento storico, per quanto nefasto possa essere, è sempre posto su di una via che porta al positivo, ha sempre un significato costruttivo». Si, è proprio vero! Anche nelle difficoltà più complesse brilla la luce della speranza! Bisogna avere uno sguardo abile a cercarla nell’oscurità delle prove. Ma sono necessarie alcune forme di collaborazione che aiutano la speranza ad emergere dall’oscurità: la consapevolezza di essere coinvolti nei problemi di tutti; che quanto accade ci ri-guarda; che le situazioni, comunque, richiedono scelte di effettiva responsabilità.
In pratica, proprio ora, motivati dalle tante emergenze pandemico-sociali e dalla necessità di ripensarci come Chiesa in uscita tra queste vicende, tutti e ognuno, per la propria parte, siamo chiamati a rispondere al grido di aiuto che proviene dai vari ambiti sociali e dai frammentati segmenti generazionali. Si dice che è una crisi etica: sarebbe meglio riconoscere che è una crisi di umanità! In questa burrasca che scuote la barca della nostra qualità umana e cristiana è necessario risvegliare in noi l’uomo autentico capace di sensibilità umana solidale e fraterna. Non solo i mezzi sono necessari per evitare l’affondamento, quanto e soprattutto i soggetti nella barca. Per ritrovare consapevolezza della situazione effettiva, fiducia personale e comunitaria, volontà fattiva e operosa, è necessario svegliare Cristo nella barca!
«Nei momenti di difficoltà, siamo – come dice Agostino – come la barca nei momenti della tempesta: sveglia Cristo che dorme, tu sei nella tempesta ma lui è presente. La fede di Cristo nel tuo cuore è come Cristo nella barca. Ascolti insulti, ti affatichi, sei sconvolto, e Cristo dorme. Risveglia Cristo, scuoti la tua fede! Persino nel turbamento sei in grado di fare qualcosa. Scuoti la tua fede. L’unica cosa che possiamo fare nei momenti brutti è svegliare Cristo, che è dentro di noi, come nella barca. È proprio così. Dobbiamo risvegliare Cristo nel nostro cuore e solo allora potremo contemplare le cose con il suo sguardo, perché lui vede oltre la tempesta. Attraverso quel suo sguardo sereno, possiamo vedere un panorama che, da soli, non è neppure pensabile scorgere» (Papa Francesco).
Cari fratelli e Sorelle, nel cammino condiviso in otto anni abbiamo, non senza fatica e difficoltà, avviato il progetto pastorale diocesano, centrato sulla Evangelii Gaudium, svelando ai nostri occhi La Chiesa che noi siamo. In questo cammino di riforma delle strutture e delle dinamiche ecclesiali abbiamo, insieme, innestato nel solco del cammino precedente la rinnovata consapevolezza di una Chiesa in uscita, presente e chinata nelle fragilità, ma anche capace di tracciare sentieri di speranza nel nostro Territorio. Partecipazione, corresponsabilità e servizio hanno caratterizzato questo piccolo tratto di strada. Ora, ancor più, per rispondere alle domande di senso, sia interne alla Chiesa, sia provenienti dalle ordinarie realtà dell’uomo, è necessario produrre uno scatto in avanti! Siamo già in cammino e già nella grazia della visita pastorale, vissuta con voi e tra voi, abbiamo colto i segni positivi della speranza che rigenera e trasforma la nostra vita. Bisogna però svegliare Cristo in noi perché siano realistici ed efficaci responsabilità e impegno per ricomporre l’amicizia sociale con una rinnovata comunione ecclesiale. È nostro dovere di cristiani innamorati di Cristo, che vive in noi, offrire uno stile di vita, coerente con questo amore, realmente trasparenza di collaborazione, in ogni contesto, e di responsabilità, personale e comunitaria.
Non si risolvono i gravi problemi sociali se non si risveglia Cristo in ciascuno di noi, condividendo l’impegno comune nella barca. «Il nostro tempo è dato a ciascuno di noi come terreno sul quale dobbiamo stare e ci è proposto come compito che dobbiamo eseguire. E, in fondo, noi non vogliamo che sia altrimenti. Il nostro tempo non è una via sulla quale dover procedere, esteriore a noi stessi. Noi stessi siamo il nostro tempo!» (R. Guardini, Lettere dal Lago di Como). Questa certezza, di cui è opportuno riappropriarsi, diviene impegno visibile e riconoscibile: «essere responsabili, in rapporto al proprio tempo, vuol dire sapersi coinvolgere a partire dalla propria interiorità, dalle proprie più profonde convinzioni: la misura dell’interiorità è misura della responsabilità». (F. Miano, Spirituale e storico nell’etica). Ritrovare lo spazio interiore di noi stessi: questa è via maestra per Risvegliare Cristo in noi!
Con la fiducia nel cuore e nella reciprocità di uno sguardo fraterno, mettiamoci in cammino insieme, in modo sinodale, vivendo l’attesa dell’Avvento come l’andare incontro per condividere il sogno del Signore Gesù: una umanità fraterna e solidale. In questo sentiero sinodale, processo che ci rende Chiesa mentre ci poniamo in ascolto, ognuno faccia la propria parte: non rimanga a guardare in attesa che altri remino per fronteggiare la burrasca. Se abbiamo condiviso il duro lavoro potremo vivere la gioia del frutto. Nel porsi in ascolto di tutti potremo sperimentare cosa e come debba essere una Chiesa che accompagna, condivide e sostiene. Nell’ascoltare tutti, nell’esperienza costruttiva dell’«incontro e del dialogo» (EG 221) potremo verificare che la risposta agli egoismi e alle autoreferenzialità, ampiamente evidenti in questa pandemia e nei conseguenti danni economico-sociali, è superare la logica di parte in favore del bene comune (Cf EG 222-237). Se questa logica, di cui ha urgente bisogno la società civile, non è radicata coerentemente nel tessuto ecclesiale, lasceremo sopito Cristo in noi, e la barca sarà travolta nella tempesta! Per aiutare la società civile, dobbiamo essere popolo di Dio (EG 221). La Chiesa che noi siamo si interroga ponendosi in ascolto: ascolta e accoglie le istanze che rendono riconoscibile l’impegno per la vita dell’uomo e del mondo (GS 1).
Nel ringraziare fin da ora tutti coloro che si impegneranno, non senza sacrificio, in questo cammino di vera speranza, pongo questo tempo di Chiesa nascente, segno e strumento della pienezza dell’umano in Cristo, sotto lo sguardo provvidente di Dio, trino ed unico, e nel cuore materno di Maria, nostra Avvocata. Sia feconda, per il cammino sinodale della nostra Chiesa locale, la preghiera dei santi nostri protettori Casto, Secondino e Leone IX. Fiduciosi, nella Grazia che dona nuove energie, poniamoci insieme in cammino fissando attentamente lo sguardo su Colui che viene e che dona speranza e vitalità nella tempesta.
Vostro Padre nella Fede
Orazio Francesco
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